29.9.06

[dal cassetto di Trevius] DOPO IL CONCERTO

Aveva ripreso a piovere fuori.
L’hangar, come mi piace chiamarlo, andava svuotandosi, lentamente.
La musica dei deejay cercava di non offendere troppo le orecchie addomesticate da un’ora di Massimo Volume.
Durante il concerto Emidio Clementi, il cantante e bassista del gruppo, indossava una camicia dal vago retrogusto messicano, con quella coppia di rose…e dai jeans spuntavano due stivali da cowboy.
Dopo l’ultimo bis, dopo aver sorseggiato uno schifo di birra dimenticata chiusa sul palco da uno dei musicisti, io ero là, ad aspettare di uscire.
L’uscita era stretta, ma soprattutto era il lago il problema.
Fuori pioveva e si era formato un lago, tra l’hangar ed il pub del Brancaleone, un lago sul quale era stata arrangiato un sentiero fatto di mattoni di pietra arenaria.

Passando da un mattone all’altro, pensavo al mio ritorno in motorino.
Non sembrava così pesante.
Nell’attimo in cui entrai nel pub mi chiesi:
potrei aspettare l’alba senza fatica.

Era un pensiero azzardato e bugiardo, ma forse qualche minuto sarei riuscito ad attendere. Attendere la fine della pioggia.
Guardai l’orologio: la gente usciva ogni secondo dal locale con il sorriso sulle labbra, soddisfatta.
Sì, è stato un gran bel concerto.
Non avevo incontrato Simone e, non so esattamente perché, non credo che lui fosse venuto. E’ da parecchio che non vedo quello stronzone, non si fa mai sentire, con i suoi impegni da uomo adulto.
Ed è stato lui a farmeli conoscere, durante il nostro buon vecchio servizio sostitutivo civile.

Mi alzo dall’angolo nel quale mi ero seduto e mi avvicino verso la porta che dava all’esterno.
Si può sapere se ha smesso o se per quando si deciderà a smettere ?
Non riuscivo a capirlo e provai ad infilare la testa fuori.

Pioveva ancora.

Gettai uno sguardo dentro al centro sociale, alle luci basse e alla musica elettronica che rendevano le persone rimaste più grandi e più fisiche del normale.
La differenza di temperature, tra fuori e dentro, era notevole.
Presi forza dall’aria fresca e umida e mi avventurai nel buio.

Pochi metri più avanti ecco il mio motorino, ripieno di tutto il necessaire per un buon viaggio.

Prima di tutto, svuotai quella che era rimasta della birra schifosa per terra, offrendola ai morti come protezione per il mio ritorno a casa.
Sotto le note lievi della pioggia, non più capace di creare laghi a chicchessia, iniziai un ramadan volontario: mi sfilai il giaccone di pelle per mettermi il maglione di rinforzo, poi la sciarpa, mi rimisi il giaccone, il casco schiaccia orecchie, i guanti.

Tolsi infine la catena al motorino e riscaldai il motore.

Ero pronto a partire.

La strada mi accolse male, non sembrava proprio volermi accettare sulle sue vene di cemento umide, per non parlare dei fottuti san pietrini, pregni anch’essi d’acqua.
Feci un po’ di strada. A quell’ora di notte il traffico era tranquillo, godevo nell’ammirare dallo specchietto retrovisore il vuoto.

Non durò molto.

Al complotto della pioggia si unirono due partecipanti funesti: quei cazzetti gialli che dividono la corsia dei bus da quella delle auto, una linea continua ma non abbastanza visibile e, come secondo, qualcuno che credevo quasi un fratello. Un po’ ammaccato e storto, forse, ma comunque una cosa cara, il parabrezza.
Cavalcando il motorino imbizzarrito sopra ai cazzetti gialli, riempiendo l’aria intorno a me di parolacce, mi accorgevo di quanto poteva essere noiosa l’attesa prima di cadere.

Non sapendo bene cosa fare per non schiantarmi, sperando di non farmi troppo male.

La prima volta mi andò bene, la seconda un po’ meno, soprattutto per il parabrezza, sempre più ammaccato.
Alla fine sono riuscito a tornare a casa, con qualche livido e contusione, ma intero. Anche il motorino è un po’ acciaccato, ma intero.

E il concerto è stato bello, Emidio e la sua band non li avevo mai visti, il chitarrista, Egle Sommacal, era un riflesso molto somigliante a Jeff Buckley e la batterista, Vittoria Burattini, era un personaggio molto buffo e bravo, come tutti.

[dal cassetto di Trevius] REWIND - IERI NOTTE E' COME ORA

Ieri notte è come ora, Dio non è capace di fare altro che darmi stupidi giorni da vivere che si vanno a mischiare a queste notti così sporche, così ormonali.

Vampiri ci perseguitano.

Per quanto il principio simbolico della mia vita è di molto simile a quello di un verme che se ne frega di chi gli stia intorno pur di riuscire a mangiare e a cagare, anche la logica di Dio deve esser di questo tipo.

In fondo a tutte le fuge conoscitive, le esasperate battaglie fisiche e mentali che hanno fatto di questi vani secoli occidentali qualche cosa da imparare sui libri di storia, c’è sempre l’istinto, l’eredità dei padri, di coloro che devastano tutto, in incognito a luglio.

Il mondo è una strafottuta Portobello Road.

Esiste solo il momento che vivi, il frammento di battiti e respiri che scegli di speziare con particolari gradi di frustrazione e insicurezza, di dolore, ma anche di brividi di genialità cortese e breve. Supponiamo, per esempio, mentre tutta l'assemblea è riunita all'interno della casa di legno tanto cara a Freud, che loro, i nostri padri, gettino una donna nuda e inerme sui piatti vuoti dei grandi pensatori dei secoli passati e futuri.

Il fuoco sessuale arde anche nelle loro insipide carni, vera fonte d’espressione per tutte le loro fantastiche battaglie, i loro castelli di carta.

I Vampiri corrono eccitati e si masturbano con il sangue di teneri bambini in carne.

Si ripete, si ripete un’altra volta la nota stonata del tuo cuore, che vibra in tutto il tuo essere attraverso corde grasse e corde magre, ramificazioni più o meno importanti che finiscono in quel-l’assolo stonato che nessun pubblico pagante applaudirà mai.

Il vendicatore dei tuoi sogni ha fatto una sapiente burla,travestito da signore delle armi e degli arnesi. Se vado indietro, la mente impaurita esplode in segnali di convergenza:

“Fate attenzione, tutti i sogni di leoni son acquazzone più spesso al volo, che scaccia quelle nazioni di fronte a te. Egli stesso come scese dalla barca aveva motivi psichici di onnipotenza.

Il pranzo di tre portate, le guarnigioni in pregiudizio emotivo in cerca di telefono di casa, l'erba dei prati: un giudizio diretto ai nemici del popolo, tutto ciò nella panna è molto buono”.

Imparai a difendermi, imparai a farne a meno, mentre il sognatore combatteva la realtà attraverso il suo ultimo viaggio in Italia.

Piadina, sangue finto sulle pareti presagisce merendina a Zurigo, Napoli, Chicago.

“Esultate dunque se dilagherà Rewind durante il giorno degli infermi, che abbiamo conosciuto esser il falso e lo detesto per questo suo bistrattare i due pavimenti.

Antenati e colonne son sterile frutto ora che è giunto per noi il tempo del raccolto. Scelta internazionale di suicidio legalizzato deliberatamente dal post-consumismo, mentre è prodotta in fasce l'assurdità. Estorte entrambe inconscie... estorte”.

[dal cassetto di Trevius] TUTTO IN UNA NOTTE

Nella vita succedono cose.
Un numero di cose. Tante cose. Poche cose. Che importanza ha ?
Ciò che importa è come le si affronta, da come se ne esce.
Le esperienze non rendono grande una persona.
Una persona rivela la propria dimensione attraverso di esse.
Una chiacchierata tra amici, un contratto di lavoro, provarci
con una ragazza, guardare il vuoto attraverso la canna di una
pistola, non fare niente per tutta una vita.
Essere giovani vuol dire cercare in un'esperienza un significato
nascosto, un tesoro sul quale c'è scritto il proprio nome.
La tristezza ci colpisce per vie traverse, perchè, prima o
poi quello che si scopre non è quella cosa profonda e infinita
cercata tanto duramente. Un uomo che fuma sigarette per una
notte intera, senza pensare. Un ragazzo che cerca la giusta
attitudine per scamparla. L'ineluttabile leggerezza della
mediocrità ci fa star male.

Le cose perdono di significato, quando si cerca il tesoro.
Ma il tesoro non esiste.
Le giornate prendono una piega diversa.
Il tutto e subito di un'altra generazione non era una cattiva
idea...se non altro meno utopica del rendere il mondo un posto
migliore nel quale vivere. C'è chi ci vive bene.
Allora, per star bene NOI dovremmo far stare male altri.
E' solo una questione di percentuali. Ma è vero, per la maggioranza
degli esseri umani su questa terra la vita è un inferno.
Per altri è una noia infinita...
lunghi periodi di stasi quotidiana, mangiare, bere, dormire,
scopare, soffrire, dalla mattina alla sera.

Poi di colpo le giornate prendono una piega diversa, imprevista.
Tutto in una notte. Accade. Quel che deve accadere. Quel che noi
portiamo alla nascita, tramite un imbuto fatto di braccia e di
cuori.
Un pub e chiacchiere sulfuree e non si vede nessuno intorno tranne
lei, la donna con la quale si è stato insieme per molto tempo,
verso la quale si sono provati sentimenti contrastanti...con lei
si stava bene, ma il tesoro agognato ?
Non c'era.
Allora lasciamoci, ho cercato senza troppa convinzione, ma ho
cercato. Il ghiaccio dei sensi sembra essersi infine sciolto.
Non esiste tesoro.
Noi, ora, qui, ti vedo in modo chiaro e sento di desiderarti.
Noi, ora, qui, il mondo pulsa dentro le mie vene, la consapevolezza
del mondo come una pluralità di voci che, alla lunga, ripetono
la stessa litania, con piccole differenze sostanziali.
Sono loro il mio piccolo tesoro.
Sono loro alle quali devo aggrapparmi per sfuggire al vortice
insaziabile.
Amore ? Sì, continuiamo a parlare di amore, in tutti i modi, è
un'attività che ci fa star male. Preferisco un litro di fiele ad
un sorso di noia, preferisco esser dimenticato al dimenticare.

Il silenzio non ha significati nascosti.
Il silenzio è.

Ora, oggi, la quiete.

22.8.06

[Melthar - Riflessi di un mago] primo intermezzo

"Di sicuro poco abbiamo, se non le tasse, la morte e la pioggia" usano dire i vecchi di Minur.
Non hanno tutti i torti, almeno per quanto riguarda le tasse patriarcali e la pioggia, così frequente nella regione del Teriador, da essere considerata una delle più piovose del meridione dell'isola.
Sulla morte invece io avrei qualcosa da ridire in merito. Morte è un concetto, una parola, che serve a determinare uno stato della materia, quando essa perde un significato, una forma, per assumerne un'altra.
E, nel bene o nel male, la forma che mi contraddistingue, o almeno che contraddistingue la forma mentale e spirituale con la quale io mi identifico, non è ancora morta, nonostante tutto ciò che mi è accaduto, nei mille e uno giorni di cui ho memoria.
Melthar... è l'ultima maschera che ho indossato e nella quale sento di dover tornare, per sfuggire a questa prigione, a questo limbo.
E' rimasto qualcosa da fare, nel passato... sì... iniziando dal più recente, dalla torre, dalla maschera nera, dai confratelli...

1.4.05

[Melthar - Riflessi di un mago] 1. Oscurità

Buio. Assenza totale.
I sensi che avevano servito Melthar per tutti gli anni della sua vita ora lo avevano abbandonato.
Buio, o meglio, ottenebramento.
La sensazione di dolore che lo aveva attanagliato per pochi attimi (secoli?), stringendolo in una morsa che travalicava il semplice dolore fisico, fino a raggiungere la sua mente, fino a far soffrire il suo stesso spirito, era scivolata via.
Come nel risvegliarsi da un incubo, il dolore, tanto reale fino a poco prima, aveva perso compattezza, diventando vago, sempre più vago, fino a scomparire.
Ma con esso, il mago aveva perso le sensazioni.
La sua consapevolezza registrava solo vuoto intorno a sè, un vuoto che, incosapevolmente, Melthar stava cercando di riempire con i suoi pensieri, i suoi ricordi.
Ricordava di aver pronunciato delle parole, secoli prima (secondi?), delle parole che erano state così importanti, risolutive.
E' tornato indietro fu il pensiero che attraversò la sua mente, senza ben capire cosa intendesse esattamente.
Sapeva di esser riuscito in qualcosa di importante ma era...
Melthar vide chiaramente un volto delicato, il volto di una donna, e ora ricordava.
Ricordava la casa del padre, gli studi di magia, il ritorno alla città di Minur e ...
Un moto di rabbia infranse quei riflessi di vita, riportandolo a quel nulla che lo avvolgeva.
Perchè? Cosa era accaduto?
Cosa?
Il vuoto assoluto non sembrava avere risposte da dare ai suoi quesiti.
Il mio corpo...
Ciò che percepiva era la negazione stessa della percezione, non riusciva a sentirsi le mani, nè i piedi. Probabilmente non erano occhi quelli che registravano quel buio, ma solo... solo cosa?
Domande. Domande su domande senza risposta. Non avendo altro materiale su cui lavorare, Melthar decise di dover tornare su quei ricordi, apparentemente lontani e dei quali riusciva a vedere chiaramente solo frammenti.
Se forse...
Il mago impose silenzio nella sua mente. Fu così che i suoi ricordi tornarono a lambire la sua consapevolezza, irrorandola e riempiendola, fino a sommergerla. E questa volta, invece di opporre resistenza, il mago si lasciò trascinare negli abissi della memoria...

[Melthar - Riflessi di un mago] Due parole di introduzione

Con il nome "Melthar - Riflessi di un mago" inizierò a raccontare episodi della vita del personaggio Melthar, creato per il gioco di ruolo "L'isola di mon" che attualmente viene giocato in forma virtuale su www.ogre.it.
Schegge di episodi, ambientati prima e dopo le sue avventure giocate su Mon, che pubblicherò senza particolare peridiocità.
Buona lettura!

2.2.05

Parole confuse

Sono parole confuse, le poche che riesco a scrivere, di questi tempi.
Parole stanche, che nascono col fiatone e che crollano a terra dopo pochi passi. Tali e quali il loro creatore.
Dovrei dormire di più, mangiare meno schifezze e più frutta... praticare di più la disciplina, piantarla con certe stronzate. Che mi divertono.
Qui ci vuole disciplina e spirito positivo, suvvia!
La vedi, quella strada lì in basso? Sì, più in là ai giardinetti. Dopo anni di richieste, pure là sono riusciti a farci lo spazio per far cagare i cani. Un quadrato dove possono farla uno sopra l'altro...
Ok meglio che chiudo, buonanotte ai suonatori e in culo a tutti gli altri.

14.1.05

Qualcosa da raccontare... forse...

Ecco, che sia chiaro fin da subito il motivo per cui, tra pochi minuti, nella rete esisterà un altro ennesimo blog.
Chiamiamolo esperimento, esperimento di narrazione, di racconti e di idee, di stralci buttati là, di sensazioni e di pensieri. Quindi non un diario di vita quanto un moleskine digitale...
Per ora non ho altro da dire, se non buona lettura, per gli ardimentosi che lo leggeranno.
A presto!